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Aldo de Giorgi

Nato a Como il 29 febbraio 1924, diplomato ragioniere,  nel 1952 entra a far parte insieme all'amico e poeta  Giordano Azzi del club esperantista comasco. Strenuo sostenitore e divulgatore della lingua sovranazionale inventata dal medico polacco Zamenhof, scriveva su una dozzina di  riviste lette da esperantisti di tutto il mondo. Nel 1982 pubblicava un libro poesie "PRETERTEMPE" (oltre il tempo)  venduto in migliaia di copie dal Brasile alla Cina, dall'Olanda alla Russia. "Sono  il comasco più letto nel mondo" amava definirsi Aldo con ironia. Ebbe l'onore di essere ammesso all'Accademia esperantista internazionale. In Italia questo titolo venne concesso solo a tre persone.
Socialista convinto, portò il suo valido contributo al P.S.I. comasco nelle cui file militò per anni.
Uomo di grande cultura amava tute le arti prediligendo la letteratura, la poesia e, nella musica, il jazz. A questo proposito nel dopoguerra e precisamente nel 1956 con un gruppo di amici fondò il primo  Jazz Club Como che, con il suo primo presidente l'avvocato, allora studente Gianni Levoni ebbe un'intensa attività con audizioni commentate di dischi, esibizioni di solisti e di complessi. Successivamente il gruppo perse l'entusiasmo iniziale con profondo dispiacere di Aldo che, dopo due decenni, cocciutamente tentò di ridargli vita.
Preziosa fu la collaborazione con il circolo "Ego Id" del compianto cav. Bruno Mambrini nel cui cenacolo confluivano varie forme d'arte: pittura, poesia e fotografia. Promotore di concorsi e di mostre che, la partecipazione di artisti esperantisti, rendeva internazionale.
Dalla sezione poesia del circolo Ego Id nel nov.1977 nasceva il "Gruppo culturale  Acàrya", associazione prediletta da Aldo che lo vide prezioso e insostituibile segretario, compito cui dedicò instancabile le sue energie, mentre si susseguivano alla presidenza: Gisella Azzi, Gianni Amarù, Graziella Molinari e Giordano Azzi. Dopo aver per anni rifiutato la carica di presidente, nel 1998 l'accettò, ma fu costretto a dimettersi per motivi di salute nel 2001..
Alla Famiglia Comasca, cui aderì fin dai primi anni della sua fondazione, si rese disponibile con un'attiva collaborazione.Alla Famiglia Comasca, cui aderì fin dai primi anni della sua fondazione, si rese disponibile con un'attiva collaborazione.
Operatore culturale di indubbie capacità, attivissimo ed instancabile anche quando, debilitato dalla malattia, le forze iniziavano a venirgli meno. Critico severo, valido letterato, animatore e strenuo promotore di iniziative atte a portare prestigio alla sua Como, città che ha sempre amato pur stigmatizzandone difetti e manchevolezze.   Per la cultura comasca è una perdita incolmabile.  "Aldo,  il tuttologo" lo definivano benevolmente gli amici acaryani, che meglio di ogni altro conoscevano la vastità del suo sapere, così come "Aldo, fico d'india" epiteto coniato da Gisella Azzi per definirne il carattere spinoso a difesa della sua grande sensibilità, è stato per noi un grande maestro e un caro  grandissimo amico. Ci ha lasciati il 19 gennaio del 2003 e per la cultura comasca è una perdita incolmabile.

Ha pubblicato i volumi:

PRETERTEMPE(oltre il tempo) in Esperanto (oltre il tempo) in Esperanto 
In Italiano sue poesie  sono state pubblicate sulle Antologie VOCI E IMMAGINI POETICHE LARIANEnr. 1 e 2 e su Voci e Immagini Poetiche nr. 3  inoltre incluse in  altri libri e su moltissime riviste culturali, impossibile citarle tutte.  

Gli amici acaryani hanno a lui dedicato delle poesie sia in Italiano che in dialetto, alcune delle quali riportiamo qui di seguito. 

SI MUORE IN SILENZIO

Si muore in silenzio, come la neve  /  fiocchi smarriti . / separandoci da altri in tumulto.  / Turbina nel mio cuore /la tua partenza/  amara  / senza un addio / senza un amore  / solo con la tua pena addormentata./Si muore in silenzio, come la neve,  / prima del disgelo / con il sentimento della vita  / ancora intatto o lacerato nell'anima. / Dilaga il mio tormento , / nel pensiero che duole  / fatto a brandelli , / da bambini infetti da presunzione.  / Con indifferenza  / allontano da me / la risata della vita  / che mi taglia l'angoscia di finire/ con squallide menzogne. 

(Giovanna Redaelli) 

NEL TEMPO SENZA LIMITI, INSEGNERA' ESPERANTO

Un altro anello s'è spezzato e l'anima / per altri cieli spazia e a noi si nega./ Aveva fretta di lasciare il campo / ad altri fiori della primavera./  / Troppo il dolore, l'ansia, la stanchezza./ Il vuoto e nel  silenzio non si colmava il cuore. / Troppo lontano il cerchio degli amici cari, i gesti / teneri, l'aria lacustre. S'ammutoliva l'anima. / /  E noi  che con amore ricucivamo assieme / brandelli di parole dai colori tenui e lieve / palpitare di frasi calde e sincere per raggi / di sole a riscaldargli il cuore ! / / Ci ritroviamo ancora a guardarci attorno / senza affondar lo sguardo in altri occhi /  chiari. Rigonfiano grossi sospiri e premono. /  Mani senza più strette, abbracci senza tempo. / / Forse soltanto ora  saprà vedere tutto / e ritrovare la pace e un canto d'usignolo. / passando  in mezzo ai fiori, accarezzando petali / curando alti giardini col soffio delicato. / /  Ritroverà lo scopo per vivere in eterno /  tante stagioni libere, colme di ogni profumo. / E tornerà il sorriso correndo fra le nuvole, / intreccerà ghirlande di musica e di sogni. / / Incontrerà altri volti, / amici mai scordati. / Nel tempo senza più limiti /  insegnerà esperanto!   

(Marisa Lissoni Annoni)  

'NA PAROLA (dialetto erbese)

Sa leva 'na parola dal silenzi. / Ma vardi inturnu / parla dumò la sira / l'umbra di tej /  'na nivula luntana / e da 'na gesa / ul sòn d'una campana. / /  Una figüra d'omm / la fissa in la mia ment / regord, insegnament / fregöj da puesìa / e un cicciarà luntàn /  perdüü per via. / / Sa ferma un temp / l'ültima sua parola / purtada dal suspir / dal vent da tramuntana. / / Par té, ' sta sira /  sunava la campana.         

(Si leva una parola dal silenzio / Mi guardo attorno / parla solo la sera / l'ombra dei tigli / una nuvola lontana / e da una chiesa / il suono d'una campana. / Una figura d'uomo / fissa nella mia mente /  ricordi, insegnamenti / briciole di poesia / e un chiaccherar lontano / perso per via. / Si ferma un tempo / l'ultima sua parola / portata dal sospiro / del vento di tramontana. ///Per te , questa sea / suonava la campana.     (

Francesco Gottardi)(Francesco Gottardi)

Estrapolate dalle  sue antologie e dai suoi libri riportiamo alcune sue poesie :riportiamo alcune sue poesie :

 

Mano kaprica  (in esperanto)

Mia mio 
estas nigra tabulo, kie 
kaprica mano volutis 
arabeske 
kreante el gi 
barokan pentrajon. 
 
Mia mio 
estas nigra tabulo, kiu 
nur nigras: 
la sama mano kaprika 

Mano capricciosa:  Il mio io  è una lavagna dove una mano capricciosa disegnò volute d'arabeschi creando un quadro barocco. Il mio io è una nera lavagna dove c'è solo il nero. La stessa mano capricciosa infantilmente ha cancellato tutto. 

 

Dolce amica mia 

Dolce amica mia, 
caro stimolo alla vita, 
compagna fedele  
di tutte le mie pene, 
quante volte tu mi hai tratto  
oltre la sofferenza 
con le tue mani di fata ! 
Pensando a te 
quanti ostacoli ho superato  
e solo perché sempre  
era percettibile la dolcezza 
della tua presenza.  
Si, sono rimasto sul cammino 
malgrado il diritto  
alla disperazione, 
perché so che sarà con me  
la tua ipnotica immagine 
per l'ultima passeggiata  
perché so che sarai pronta  
per l'esplosiva risata finale, 
tu, sola amante senza tradimenti,  
consolazione estrema, ultima speranza, 
dolce amica mia, la più bella,  
tu, mia rivoltella.

 

L'ultima rosa  

E' Dicembre,  E' Dicembre,  
mi riaggredisce il ricordo:  
quando 
l'ultima rosa era rossa 
nel giardino ghiacciato.
Nel giardino  
ove persino la brina  
sembrava tiepida  
per la felicità  
ch'era calda in casa, 
con Lei. 
E' Dicembre,  
nessuna rosa è rossa      
in nessun giardino.  
Sembrano rosse  
gocce dai miei occhi.      
Sul tavolo le lacrime  
sembrano sangue,  
senza Lei.  

 

Nel parco

Nel parco soffuso 
La tremula betulla  
palpita virginalmente  
alla carezza del vento.  
La purpurea azalea , 
si offre trepida 
all'abbraccio sensuale  
del salice di Babilonia.  
Nell'angolo remoto,  
là in fondo,  
sotto l'alito del glicine.  
la nostra panchina di allora  
é vuota.

 

La voce del silenzio 

Ascolta,  
il silenzio con mille sfumature suona,  
soffice ma percettibile,  
e suggerisce vellutate emozioni.  
Ascolta, 
non ti sembra di udire  
il sussurro della misteriosa  
presenza del cosmo  
dietro ad ogni filo d'erba,    
volo di farfalla,   
tremolio di betulla,   
scintillio di lago ?   
Ascolta, 
non senti   
le melodie di infiniti mondi,   
di mille creature fantastiche   
dei desideri,     
dei sogni antichi,     
dei tuoi infiniti io ? 
Ascolta, 
ascolta il dolce mormorio 
del silenzio  
e non sarai mai solo.

 

Viif

Viif l'è quajcoss   
che riva mai:   
ul maag, l'amuur, la mort ?     
Viif l'è tirà innanz    
e pudè minga fann a men    
perchè ul muund al rüza    
Viff l'è tacà litt cuj dì  
cul temp che 'l passa,    
cunt ul muund    
che l'è tropp strecc.    
Viif l'è lavurà, südà, patì ,     
pe 'na tazina de minestra,      
per tirà grand i fiöö 
che scapan via  
apèna poden.  
Viif l'è cercà, cercà, comè un danaa   
una speranza, un credo, un ideal    
che quand ch'el trövum a l'è già smentii      
opüür quel' ilüsiun che i poor tarlüch   
apèna poden 
ciamen felicità -  
e che, al màsim, a l'è un intervall,     
cürt cürt, in mezz ai suferenz. 
Viif l'è pagüra, teruur de guardà in giir      
e vedè dumà buumb, ladar e sfrütaduur,      
bagasc e cülatuni  
e savè propi minga   
cumè 'l sarà 'l duman .   
Viif l'è lecass i crust    
e pöö, magari, ciamà feed    
quell che inveci l'è imputenza,     
vigliaccheria e rasegnaziun.   
Viif, disèmal ciaar, a l'è un cumprumess     
ch'èmm faa cul diavul e 'l Signuur,     
l'è tüta 'na busia     
che sütum a ripett      
in de'l specià la Stria

Vivere: Vivere è qualche cosa / che non arriva mai:/ il maggio, l'amore , la morte ?/ Vivere è tirare avanti / e non poterne fare a meno / perchè il mondo spinge./Vivere è litigare coi giorni, / col tempo che passa, col mondo,/ che è troppo stretto./ Vivere è lavorare, sudare, patire/ per una tazzina di minestra, /per tirar grandi i figli/ che scappano via / appena possono./ Vivere è cercare, cercare come un dannato / una speranza, un credo, un ideale / e quando lo troviamo è già smentito, / oppure è quell'illusione che i poveri creduloni / chiamano felicità. / e che al massimo è un intervallo corto corto in mezzo alle sofferenza. / Vivere è la paura, terrore di guardarsi in giro / e vedere soltanto bombe, ladri e sfruttatori / prostitute e gay / e non sapere proprio / come sarà il domani./ Vivere è leccarsi le ferite/ e poi, magari, convertirsi / quello che invece è impudenza, / vigliaccheria e rassegnazione./ Vivere, diciamolo chiaro, è un compromesso / che abbiamo fatto col diavolo e col Signore, / è tutta una bugia / che continuiamo a ripetere / nell'aspettare la Strega (Morte).